Cori, “L’imu sui terreni agricoli è iniqua”. Il Sindaco Conti scrive ai vertici istituzionali

Tommaso Conti, sindaco di Cori

Il Sindaco Tommaso Conti stamattina ha inviato una lettera indirizzata ai Presidenti della Repubblica, del Consiglio dei Ministri, della Camera dei Deputati, del Senato e della Regione Lazio, nonché alle associazioni agricole e all’ANCI. Nella missiva ha espresso tutto il suo disappunto nei confronti del Decreto Interministeriale del 28 Novembre 2014, con il quale i Ministeri dell’Economia e delle Finanze e delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali hanno introdotto nuove regole per l’IMU sui terreni agricoli dei Comuni montani.

In seguito a questa revisione, il Comune di Cori, prima considerato comune montano e perciò esente da IMU sui terreni agricoli, ora non è più tale solo perché la sede del Municipio (via della Libertà, 1) si trova tra i 280 e 600 metri sul livello del mare. Di conseguenza, già a partire dal 2014, anche a Cori i proprietari di appezzamenti coltivati dovranno pagare l’imposta, eccezion fatta per i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali iscritti alla Previdenza Agricola. Nei Comuni dove il Palazzo Comunale si trova a più di 600 metri di altitudine invece, le terre messe a coltura saranno esentate dalla tassa. E l’Ente non avrà alcuna voce in capitolo nella definizione delle aliquote.


Limitandosi a definire semplicemente astruso il parametro preso a riferimento per l’altimetria del Comune, che determina l’imposizione o meno, per Tommaso Conti – si tratta di un provvedimento iniquo sotto il profilo fiscale che produrrà fortissime sperequazioni tra i cittadini dello stesso territorio – con evidente riferimento alle paradossali esenzioni che escludono dal pagamento chi, lavorando la sua terra trae un reddito, e scaricando per intero il carico fiscale su chi invece non ne trae alcun beneficio economico.

Il primo cittadino illustra anche la situazione tipo che si verificherà a Cori. Un coltivatore diretto o imprenditore agricolo, titolare di decine o centinaia di ettari di terreno coltivato, dai quali sicuramente trarrà un reddito, anche scarso, non dovrà pagare nulla. Un pensionato che percepisce 600/700 euro di pensione al mese invece, con due o tre ettari, pagherà circa 400 euro l’ettaro, cioè quanto vi ricava su quella terra in un anno di lavoro. Pagherà lo stesso anche se sull’appezzamento non ci guadagna nulla, perché è incolto, o perché lo usa per economia domestica, oppure perché ci va solo a respirare un po’ d’aria pulita.

“Dopo le tasse sulla casa, sul suolo e sull’acqua, hanno introdotto anche la tassa sull’aria che respiriamo – conclude Tommaso Conti – Chi spiegherà ai nostri cittadini, soprattutto gli anziani, che le indennità dei deputati non si possono dimezzare, ma una mensilità di pensione loro dovranno restituirla allo Stato per pagare la gabella sull’oliveto dal quale producono l’olio per casa? Questi magari l’anno prossimo saranno costretti a svendere la propria terra a chi già ne ha tanta e continuerà a non pagarvi alcuna imposta”.