“Latina era provincia di Casale”, parola di Carmine Schiavone

Carmine Schiavone

criminalità genericaDagli affari con la discoteca Seven Up a quelli nell’immobiliare, con la Tirrena, fino agli appoggi politici. Tutto a Formia, la stessa città dove, ucciso Antonio Bardellino e iniziata la guerra di camorra, si erano rifugiati i familiari del fondatore del clan dei Casalesi.

Dagli investimenti nell’immobiliare a Minturno all’espansione verso Gaeta, con il porto utilizzato per vari traffici. Dai rapporti con i Tripodo a Fondi al business della droga gestito nel basso Lazio con Alberto Beneduce. Fino alle estorsioni e all’insediamento a Latina, con l’acquisto di aziende agricole tra Borgo Montello e Borgo Bainsizza, oltre che gli interessi nella Scania. La storia delle infiltrazioni camorristiche in terra pontina è stata ripercorsa, in Tribunale a Latina, da tre pentiti, ascoltati in videoconferenza, nel processo sulle presunte estorsioni mafiose compiute nel capoluogo e a Cisterna da quelli che sarebbero stati gli uomini dei Casalesi, intenzionati a dettare legge oltre le storiche zone d’influenza. Un processo nato dalla richiesta d’aiuto fatta, nel 1996, dai Ciarelli ai carabinieri e che ha come imputati Ettore Mendico, detto “Bertoldo”, già condannato per mafia nel processo “Anni ‘90”, i fratelli Mario e Matteo Baldascini, quest’ultimo stabilitosi da tempo a Borgo Carso, e il campano Salvatore Cantiello.


I Ciarelli, famiglia di origine nomade, da anni presente nel capoluogo pontino e dedita ad affari illeciti, usura in primis, bussò alla caserma dell’Arma. Antonio, il capostipite, e Carmine, il boss, erano stati terrorizzati da Ettore Mendico. Stando alla denuncia dei rom e alle indagini svolte dai militari, coordinate dall’Antimafia di Roma, i Casalesi volevano ampliare il loro raggio d’affari e imporre il pizzo anche sulle attività criminali, a partire da quelle gestite dai Ciarelli. “O pagate o vi ammazziamo un figlio al giorno”, avrebbe detto Mendico ai nomadi. Estorsioni analoghe sarebbero poi state compiute ai danni di un commerciante ortofrutticolo di Cisterna. A rispondere alle domande del pm antimafia Francesco Polino e dei difensori, gli avvocati Camillo Irace e Alessandro Mariani, oltre a due investigatori, tra cui uno della Dia di Napoli, sono stati i pentiti Carmine Schiavone, Dario De Simone e Giuseppe Quadrano. Fatta eccezione per Schiavone, che ha detto di conoscere Mario Baldascini, messo come guardiano in un cantiere di Corrado Ferlaino, ex patron del Napoli, vittima di estorsioni da parte dei Casalesi, tutti i collaboratori di giustizia hanno detto di non conoscere gli imputati, ricostruendo però gli interessi mafiosi in quel periodo a Latina. E Schiavone, ex cassiere dei Casalesi, ha ribadito: “Latina era provincia di Casale”.

Nella prossima udienza, il 19 febbraio, sono previste le testimonianze di Antonio Ciarelli e Nicola Zara. Poi l’istruttoria verrà chiusa e, il 20 maggio, è prevista la discussione e la sentenza. In aula era presente Mendico, tornato libero, e in videoconferenza era inizialmente collegato Cantiello.